di Davide Amerio
Erano gli anni ‘70 quando fu pubblicato il primo documento ufficiale che indicava il nuovo corso del neoliberismo: “La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilateral”. Iniziò da qui la rimonta del modello liberista, della sua filosofia, dopo aver subito per un trentennio, post 1945, l’affermazione del modello Keynesiano in economia, le “pretese”, e le “rivendicazioni”, dei Diritti sociali e del Lavoro maturate intorno e dopo il 1968. La società cambiava e pretendeva maggiore giustizia sociale, equità, libertà per i cittadini.
Quel documento (edito in Italia con la prefazione di Gianni Agnelli) indicava come causa dei problemi della società “l’eccesso di Democrazia”. Poneva come necessarie quelle parole d’ordine che sarebbero diventate la base del dibattito politico nei decenni successivi: presidenzialismo (per frenare l’attività dei regimi parlamentari), governabilità (meno procedure democratiche, svuotando le Costituzioni democratiche senza modificarle), internazionalismo della funzione politica di governo (perdita di sovranità dei singoli paesi, come nel caso della UE), tecnocrazia (governi tecnici per contenere le richieste sociali e rafforzare gli esecutivi), capitalismo globale e finanziario libero da impedimenti.
Parole diventate linguaggio, e pensiero, corrente nelle Università, nei confronti politici, nelle televisioni, nei giornali. Dopo quasi 40 anni quei presupposti ideologici si sono affermati e imposti sulle Democrazie occidentali, ed è ciò che oggi classifichiamo come “neoliberismo”. Un modello che non ha nulla da spartire, filosoficamente, con il Liberalismo democratico, quale affermazione progressiva delle libertà e dei diritti individuali. È questo Liberalismo, insieme ai principi del Socialismo, del Cristianesimo, dell’Azionismo, a fondare la struttura ideologica portante della Costituzione Italiana.
Non è un caso se, da tempo, siamo di fronte al fenomeno dell’astensionismo crescente (mediamente intorno al 50% nei paesi di tradizione democratica). La disaffezione del cittadino (elettore) nei confronti della politica è maturato di pari passo con l’affermazione progressiva del neoliberismo all’interno del dibattito e nell’azione di governo. Questo scollamento tra il modello della Democrazia Liberal-Socialista (come poteva intenderla Norberto Bobbio) e la realtà di un sistema che diminuisce, di fatto, libertà, diritti, eguaglianza, è la fonte di quel sentimento di delusione e sfiducia maturato nell’elettore. Stanco di promesse mai mantenute, di soluzioni annunciate e mai attuate, di disparità sociali crescenti, di precarietà diffusa, incertezza del futuro, insicurezza su ogni aspetto della vita quotidiana (dalla Sanità, alla Casa, alla Scuola, al Lavoro), il cittadino si ritrae dal “pubblico” per rintanarsi nel “privato”, abbandonando quella forma di partecipazione che era ritenuta fondamentale, dagli antichi Greci, pere rendere operosa la Democrazia.
Oggi i partiti politici del “sistema” svolgono impunemente un mestiere di “comitati d’affari”, piuttosto che di soggetti propositivi (e utili) per individuare soluzioni in favore del progresso della comunità. Hanno tutti abbracciato la logica del modello neoliberista (atlantista, europeista), sacrificando ogni idealità sull’altare del Dio Mercato, e piegandosi ai ricatti della Dea Europa. Divinità indiscusse della nuova religione pagana cui i sudditi devono essere devoti. Il sistema dell’informazione è in mano a potentati economici e padronati politici: i giornalisti “liberi” e con la “schiena dritta” sono una specie rara, da proteggere, quasi come i Panda cinesi. La televisione trabocca di artefatti dibattiti inconcludenti, dove intellettuali partigiani, presunti scienziati, economisti neoliberisti, indottrinano il pubblico, seminando terrore e insicurezza. Si parli di Debito Pubblico, Sanità, Sicurezza, Ambiente, l’obiettivo è sempre quello di inculcare nelle genti la logica del TINA! (There Is No Alternative!): non c’è alternativa a ciò che loro propongono. Si tratti di vaccinazioni, guerra, opere pubbliche, non è permesso il dissenso dalla versione tecnocratica ufficiale: altrimenti sei classificato come no-vax, pro-putin, no-tav, etc etc, in modo tale da essere emarginato dal dibattito, additato come reprobo, inaffidabile, antiscientifico e antisociale. Non di rado accusato di soffrire della sindrome di NIMBY (Not In My Backyard): “non nel mio giardino!” la malattia che, secondo i neoliberisti, colpisce coloro che si ribellano a certe “opere pubbliche” in nome della salvaguardia dell’ambiente e della salute.
Un’azione di vero e proprio bullismo, violento e sfrontato, nei confronti dei cittadini-elettori bullizzati, ha pervaso la nostra società. Negli ultimi due anni ne abbiamo avuto palese dimostrazione. Dalle vaccinazioni farlocche di sieri sperimentali spacciati per vaccini, alla guerra Ucraina, il sistema neoliberista ha mostrato tutta la sua forza oppressiva e illiberale nei confronti della democrazia e dei popoli che la abitano. Mentre alcuni stolti cercano di riproporre la dinamica destra-sinistra, fascismo-antifascismo, come se fosse la vera questione politica, il neoliberismo (antidemocratico e realmente fascista in quanto portatore di un pensiero unico) agisce indisturbato e standardizza le nostre vite con l’utilizzo della tecnologia piegata ai suoi interessi. Da cittadini a sudditi, più o meno devoti, il passo è breve, con tutto ciò che ne consegue.
Posso comprendere il disagio di chi si sente tradito; ma capita a tutti nella vita di essere traditi da qualcuno e sfiduciati: non per questo rinunciamo a vivere, a costruire, a migliorare, e (perché no!) a fare del sesso…a continuare a esercitare con ostinazione il nostro sacro diritto al voto democratico per un’alternativa.
La lotta è impari, ma se non usciamo dalla logica nella quale ci ha rinchiusi il neoliberismo, il rischio è davvero una guerra interna tra poveri e futuri poveri. A loro conviene sempre…ma a noi?
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